Quante volte avrete letto che i media tradizionali sono morti? Poche o tante che siano, sono comunque troppe. Il web, i canali digitali, il modo di vivere ha mutato la portata e la forza della tv, radio e stampa. Cambiato, forse diminuito, ma certamente non cancellato. Nessuna azione web oggi ha la visibilità di uno spot in tv. Nessuna azione web oggi dà il prestigio di una pagina sul Corriere della Sera. Mai come in questo momento c’è spazio per fare qualcosa, non solo di nuovo, ma anche di “notabile” e notevole, proprio con i media tradizionali. Utilizzando sia la multicanalità (e i social come “sponde per andare in buca”. CocaCola e McDonald già lo fanno, per tacere dei mille spot con profusione di #) sia la creatività.

E qui ci sono le praterie Oceani blu in cui tuffarsi. L’utilizzo dei media tradizionali in questa fase storica della comunicazione è dominato dalla paura di sbagliare. Obiettivi di marketing tradotti alla lettera, senza nessun guizzo. Un guitto, al massimo, come testimonial. Niente di più. L’unica strategia adottata è il “bombardamento”. Come ai tempi di Aiazzone: provare per credere. Ma nessuno crede più alle prove dei commercial così come sono. Vanno ripensati. Bisogna prendere consapevolezza e coraggio. Consapevolezza che il pubblico a cui ci rivolgiamo è cambiato. Considerarlo un consumatore che acquista è svilente per chi crea e per chi riceve il messaggio promozionale. Bisogna iniziare a dargli la dignità di persona, “persona che sceglie” (nella bella definizione di Paolo Iabichino). Avere la coscienza che il lavoro di un pubblicitario entra in migliaia di case, senza chiedere il permesso e, proprio per questo, chiedere a noi stessi sensibilità, rispetto e dignità.
Un’idea che si faccia notare per il valore. Che dia valore e non che entri per forza bruta. Avere coraggio, magari sbagliare, ma osare. Osare per emozionare. Perché solo emozionando si può arrivare alle persone. E l’emozione è il fine dell’arte. Forse è vero: la pubblicità è una forma d’arte.