I numeri dell’e-commerce fanno invidia alla Cina: crescite in doppia cifra che non sembrano conoscere crisi in tempo di crisi. La verità è che il successo degli e-commerce è legato (anche se non solo) alla congiuntura economica sfavorevole. Comprare online è percepito dal consumatore come fonte di risparmio, fatto supportato da due evidenze:
1. L’accorciarsi della filiera permette una convenienza per chi compra, che corrisponde allo stesso tempo a un maggior guadagno per chi vende.
2. La velocità con cui si può trovare il miglior prezzo: tutto dista un click.
A questo si aggiungono altri due fattori:
3. La possibilità di “fare shopping” a qualunque orario e comodamente sul divano.
4. Il continuo aumento degli utenti online (in Italia negli ultimi due anni gli utenti connessi sono due milioni in più).

È come avere un negozio in una strada con sempre più abitanti: il fatturato aumenta per forza di cose. Fatta la doverosa premessa è altrettanto chiaro che presto gli e-commerce entreranno in crisi pure loro: non basta più esserci bisogna esserci bene. Curando “merce” ed esperienza di consumo. Come? Partendo da una verità fin troppo trascurata: il mondo reale ci influenza su metodo di ricerca e acquisto in quello virtuale. A cominciare dalla “geografia” stessa che per l’online troppi sostengono non esistere. David R. Bell arriva ad affermare che “dove viviamo – dalla città fino al quartiere – impatta direttamente su come navighiamo e compriamo in internet” (Location is still everything, 2015). L’abitudine e il favore di certi negozi (intesi come ambienti dove comprare) è qualcosa che vogliamo ritrovare (rivivere?) nel mondo virtuale. E sarà diverso se amo “Starbucks” o il bar di paese con le urla di chi fa briscola. Dunque decidere il target di un e-commerce è operazione più profonda che “maschi italiani tra i 40 e i 50 anni medio spendenti”. Dovrà riguardare anche uno stile. Se ci pensate è come “arredare un negozio fisico”.
Altro elemento da considerare è la resistenza del consumatore e l’online ha una barriera intrinseca (non posso toccare e vedere la merce) e se questa per un acquisto come le “mie” scarpe Clarcks (stesso modello stesso numero stesso colore da 20 anni) non ha nessuna conseguenza, diverso sulle nuove Adidas o su qualcosa che non conosco. Amazon da oltre 10 anni permette di “sfogliare” i libri e sempre più negozi si stanno attrezzando per un pick and pay e alcuni e-commerce, ad esempio in america Bonobos.com, stanno creando showroom fisici. La parola d’ordine è un orribile acrostico: BOPS (Buy Online, Pick up in Store: compra online, ritira con modalità favorevoli in negozio).
Sempre più consigliabili diventano i sistemi di chat istantanei, ritiro merce gratuita e tutto quanto possa distruggere l’ostacolo del virtuale e farti sempre più sentire nel negozietto sotto casa. E nello stesso spirito va cercata di curare la vicinanza con il proprio cliente che poi nel mondo online vuol dire “social”, Facebook in primis. Capace di trasformarsi in qualcosa di più ampio di un servizio customer care, un luogo dove dialogare con la propria clientela. Che pretende sempre più e il cui semplice ascolto non basta. Le parole si devono trasformare in azioni. In cambio si otterrà il “passaparola”. Panacea per l’e-commerce come per il negozietto sotto casa. E tutto torna. (L.P.)